Luglio di elezioni

Luglio di elezioni

Questa prima decade di luglio sembra dedicata alle elezioni e, soprattutto, ai ballottaggi.

Non solo si voterà in Francia ma anche in Iran e in Inghilterra. Si profilano grandi mutamenti negli assetti politici europei.

Non in Iran, dove la dittatura dei preti continuerà imperterrita, anche se minata da una crescente disaffezione degli elettori. Prima o poi anche le dittature, come le democrazie, stancano. Le dittature, in genere, finiscono nel sangue, le democrazie nel bipolarismo.

E’ ciò che è accaduto in Italia e sta accadendo in Francia. Dopo il successo delle destre alle elezioni europee la Meloni, in Italia, si è consolidata, in Germania Sholz ha fatto finta di niente e in Francia, invece, Macron se l’è presa con l’elettorato, sciogliendo il Parlamento e indicendo nuove elezioni. In pratica, ha detto: non mi volete? E allora azzeriamo tutto e vediamo alla fine chi vince. Mi ricorda le dimissioni provocatorie di Salvini quando mise in crisi il governo giallo-verde, sperando in una nuova consultazione elettorale che, invece, non ci fu. Calcoli sbagliati anche per Macron, destinato a tornare Micron.

Il successo della Le Pen è indiscutibile e potrebbe addirittura raggiungere al prossimo ballottaggio la maggioranza assoluta. E’ un’ipotesi che spaventa e raggruppa tutte le opposizioni contro questa eventualità. La creazione di una specie di fronte popolare contro la destra, unendo fra loro posizioni inconciliabili, se dovesse per caso prevalere, porterebbe la Francia ad un’ingovernabilità di fatto. Le ammucchiate contro qualcuno non portano fortuna.

Francamente, sarebbe una soluzione peggiore della vittoria della destra.

Sono decenni che la Le Pen cerca di raggiungere la soglia del governo. Errori, debolezze e divisioni profonde hanno minato la gestione di Macron ed ora la Francia si trova ad una svolta. Il ballottaggio deciderà il futuro, nei prossimi anni, della presenza francese in Europa e nel mondo.

Un radicale cambio di governo è sempre auspicabile, perché significa una rivisitazione degli obiettivi e un mutamento delle persone al comando. Il centrismo o il centro sinistrismo, che ha caratterizzato molti governi europei, sembra essere alla fine.

In Francia l’opposizione sta risvegliando il fantasma del governo di Vichy e del maresciallo Pétain. Roba vecchia, ma pare che non ci siano argomentazioni più serie da mettere in campo. Quando non si ha più nulla da dire, torna lo spettro del fascismo o del neofascismo, il vero collante delle opposizioni. Tutto il resto, quasi un secolo di storia, non conta. Ma non si fa politica guardando indietro. Le sfide che attendono la Francia e l’Europa sono ben diverse.

Un primo aspetto è la posizione della Francia nei confronti degli Stati Uniti. Nessuno ne vuole parlare, ma finché la difesa dell’Europa è affidata alla NATO di cui magna pars sono gli Stati Uniti, è difficile ipotizzare una maggiore autonomia europea. La Francia è l’unica potenza nucleare europea e, quindi, il suo ruolo nella NATO potrebbe essere essenziale, specie se gli Stati Uniti ne uscissero, come si proponeva a suo tempo Trump.

Un secondo aspetto è quello della questione ucraina, da cui discendono i rapporti con la Federazione russa. Qui i pareri e le intenzioni sono molto discordi. Un chiarimento è indifferibile. Molti raggruppamenti di destra sono tendenzialmente filo russi, più in opposizione concettuale agli Stati Uniti che per una mancata considerazione dei diritti del popolo ucraino.

Una pace di qualunque tipo in Ucraina risveglia gravi preoccupazioni in Polonia, nei Paesi baltici, in Moldavia e, forse, anche in Serbia (nei Balcani i problemi sono sempre in agguato). Non tener conto di queste preoccupazioni sarebbe irresponsabile. Un tempo l’ideologia comunista trovava fautori ma, oggi, l’imperialismo russo, che ricalca quello sovietico, è solo espansionismo e non trova sostenitori interni nei Paesi da invadere.

Un terzo aspetto è dato dal conflitto in corso in Palestina. Nell’opinione comune Israele è un Paese nazista (il che è un paradosso) e Hamas e i Palestinesi in genere, sono gli alfieri oppressi della libertà. La sinistra (ma almeno in Italia non tutta) è schierata contro Israele e su posizioni anti-sioniste. La destra è divisa su questo tema, ma l’irresponsabile politica dei vertici israeliani porta acqua ai nemici di Israele.

Le operazioni sulla Striscia di Gaza hanno portato a un inutile bagno di sangue, Sono state un fallimento e Hamas non è stata schiacciata. Nessuno sa cosa abbia in mente Netanyahu, ma è sempre più imminente l’ipotesi di un conflitto in Libano con gli Hezbollah foraggiati dall’Iran. L’allargamento del conflitto potrebbe essere la fine di Israele se dovesse intervenire Teheran a difesa dei suoi sostenitori. Qualunque sarà il prossimo Presidente degli Stati Uniti, però, un conflitto con l’Iran aprirebbe scenari impensabili.

Un quarto aspetto, infine, è la posizione dell’Europa dove sembrano inconciliabili le tendenze dei vari gruppi parlamentari vecchi e nuovi e, di fatto, resta indefinita e indefinibile, come sempre, la sua politica estera.

A tutto ciò va aggiunta la crisi britannica. Diversamente dal resto dell’Europa, le elezioni sembrano preludere a una vittoria dei laburisti, in controtendenza. Gli errori dovuti all’uscita di Londra dal contesto europeo si pagano in termini di disoccupazione, immigrazione nera e non più bianca, calo del PIL e abbandono della piazza londinese da parte dei maggiori investitori internazionali. Nessuno ha il coraggio di dire che è stata una follia, ma i risultati negativi pesano fortemente sull’economia britannica e sui suoi rapporti internazionali.

Secondo l’Institute for fiscal studies quest’anno in Inghilterra c’è stata la crescita più bassa del tenore di vita, l’aumento pro capite del Pil è stato inferiore alla media di quello europeo e degli Stati Uniti, i servizi pubblici si stanno deteriorando per mancanza d’investimenti e l’invecchiamento della popolazione pesa sempre di più sul servizio sanitario nazionale. Un recente sondaggio ha visto il 55% degli intervistati rammaricarsi per aver deciso la Brexit.

Come è stato autorevolmente scritto qualche giorno fa dall’editorialista del quotidiano britannico The Guardian, Rafael Behr: “… se non si considerano la Brexit e le sue conseguenze, suonano come pura retorica gli allarmi sull’instabilità globale, l’ascesa della Cina, l’aggressività della Russia, l’intelligenza artificiale, la crisi climatica e la sicurezza energetica.”

In buona sostanza, questo mese di luglio sarà foriero di novità importanti, fors’anche decisive, per il futuro dell’Europa e di noi tutti.

La Redazione

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